
poesie
Questi sono i componimenti dedicati alle Lotte del Cormôr da Francesco Indrigo, Stefano Moratto, Maurizio Mattiuzza, Zuan Laurin Nardin e Cristina Micelli: poeti friulani contemporanei che oggi mutuano l’esempio degli artisti e intellettuali che appoggiarono lo sciopero alla rovescia nel 1950. Le poesie sono pubblicate nel booklet che accompagna il CD “Le canzoni del Cormôr 2020”, edito da Nota. Sopra, i disegni di Guido Carrara “Quisco”.
Lentamente la Primavera
di Francesco Indrigo
Ascolta bimba il vento che urla
nelle pertiche a fionda dei salici,
no, non è il lupo d’inverno, e nemmeno
le streghe a succhiare il miele della primavera.
Il vento racconta un sogno di terra e acqua,
ascolta, comincia così:
gnic, gnec pantagnec…
le ombre magre e lunghe dei compagni
annegano nella palude, vanghe e carriole
e palta sulle ginocchia e sulle braccia, che le zanzare
ti pungono di meno, che la malaria è sempre
in agguato, e affannarsi con il cottimo, che il padrone
ha fretta, che al tramonto ci conteggiano
le scarriolate, pantano fin sugli occhi del bracciante,
finché abbiamo piantato il manico delle vanghe sulla sponda
e conquistato il contratto
gnic, gnec pantagnec…
che avevamo un sogno di terra e farina, per vivere
e non per morire, che la cintura di corda
è tesa, che la fame è più del pantano.
Ascolta bimba il canticchiare della luna
e il tintinnare delle stelle, ora che siamo all’asciutto,
che noi avevamo un sogno di terra e giustizia.
Aghe e tiare
di Stefano Moratto
Farina tenera e latte di capra
poco
amara da mille e mille anni
Erbe di fosso da succhiare
Acqua e terra
Una fame che il padreterno non ne aveva tanta!
Sempre c’è un anello che si rompe
un qualcosa che non tiene
un resto uno scarto un qualcosa
Sempre una radice, uno stelo
che perfora il nulla e
che nel nulla sta
Bracciante succube
Vivevi da randagio!
Quelli che potevano erano scappati
all’estero
La dignità
Il rispetto
Il lavoro
Pertegada Precenicco e Palazzolo
Freetown Homs Castions
Mangiare e dormire nel bosco
Io appartengo a quel mondo!
Ma il nulla è nulla e
niente rimane
un muro il lucchetto il catenaccio
e tutto sta serrato
e oscuro
Con la mensa di San Gervasio, gestita dalle donne
Manganellate che dio ce ne scampi!
dai poliziotti che lo bastonavano
Sono arrivate le donne a fare da scudo
Bracciante diseredato:
Bassa
Melma
Pantano
La catena resta
restano la pena e la palude
Sulla gola resta il piede
resta il peso del tutto
and I can’t breathe
Al Dio dei campi
di Maurizio Mattiuzza
Vanno giù per la terra
come mosche abituate al niente
voci mute che han trovato
la forza di parlare, raccontare
vite scritte piegando la schiena
camminando scalzi sul selciato
di una storia altrui
che ogni tanto viene a vestirli da soldati
donne e uomini affiancati
lungo lo stradone di Latisana
dietro a file di vanghe e bandiere
vogliono diritti, cantano preghiere
per il Dio dei campi e della gente
Il permesso di vivere
di Zuan Laurin Nardin
Il mio permesso di vivere
Era nascosto
Nel fossato
Lì, sul bordo del fiume
Acqua marcia lo copriva
E fango
Sono andato a prenderlo
Con mia sorella la vanga
Con mio fratello il piccone
Con le mie mani l’ho preso in mano
Le mie mani
Libere
Che non dovevo più adoperarle
Per dover togliermi via
Il cappello dalla testa
Davanti al signor padrone
Il mio cappello
Sforacchiato
E usurato
Non mi ripara granchè
Dal sole
Ma
Porta adesso con sé
Un sapore di | Dignità
Le forze del disordine
di Cristina Micelli
Le biciclette al riparo nel fitto dei nocciòli
e un odore salmastro circonda la palude.
Noi intricati un migliaio nel lavoro al contrario
noi l’argine alla fame, alle manganellate.
Se il piede insiste sulla pala
si allontana il Canada, l’Australia.
Squadra uno, squadra due. Tornate a casa.
– Ma noi ci nascondevamo come lepri
di qua e di là della paura bianca –
Vivido è l’animale quando manca alla presa
attraversa la strada e salta la legge contraria.
Noi abbiamo gli occhi nell’allarme
sopra la linea marcata del bianco e
marciapiedi di pandemia e cemento.
Restate a casa. L’altoparlante stride
i passi a distanza e i dieci minuti
di coda per vederti. E ancora
dalle laterali
le forze del disordine
violentano la pace di un’intenzione.