
le Lotte del Cormôr
il territorio
Nel dopoguerra nella Bassa Friulana molte erano ancora le aree paludose da bonificare e migliaia i campi inutilizzabili, a causa dei frequenti allagamenti durante i mesi più piovosi. Le opere di bonifica della zona a ridosso della laguna realizzate durante il fascismo erano infatti rimaste incompiute, così come si erano conclusi in un nulla di fatto i grandi progetti di trasformazione agraria elaborati durante il ventennio, che intendevano valorizzare l’agricoltura della Bassa friulana sul modello di quella lombarda.
la situazione sociale
La Bassa Friulana usciva dal periodo bellico in condizioni di profondo malessere sociale ed economico. Non esistevano nel territorio, oltre alla SAICI di Torviscosa e a qualche piccola fornace, industrie o manifatture in grado di offrire occupazione. Le uniche possibilità di lavoro erano dunque concentrate nel campo dell’agricoltura. Accanto ai mezzadri e ai contadini che possedevano piccole proprietà, era presente soprattutto nella parte occidentale (latisanese e sangiorgino) un grande numero di operai/braccianti, i cosiddetti sotàns, che non potendo disporre di alcun terreno, né di proprietà né a mezzadria, per sopravvivere erano costretti a lavorare saltuariamente le terre d’altri e a svolgere per brevi periodi di tempo i più svariati mestieri.

il Piano del Lavoro della CGIL
La situazione dell’Italia nell’immediato dopoguerra era quella di un paese segnato da una forte disoccupazione, da retribuzioni misere e da una generale carenza di infrastrutture. In questo scenario la CGIL riteneva indispensabile un programma nazionale di opere pubbliche in grado di creare occupazione e al tempo stesso dotare il paese delle infrastrutture necessarie ad un rilancio economico e sociale. Fu questo lo spirito con cui nel 1949 venne proposto al Governo il “Piano del Lavoro”, fortemente voluto dal suo segretario Giuseppe Di Vittorio. Il Piano prevedeva interventi di edilizia popolare, opere di bonifica, trasformazioni fondiarie, potenziamento della produzione energetica. Sulla spinta del Piano del Lavoro della CGIL anche la confederazione sindacale Friulana impostò, nella primavera del 1950, il “Piano del Lavoro per il Friuli” che conteneva le basi per una possibile rinascita economica del Friuli, quantomai necessaria ad allontanare lo spettro dell’emigrazione. Per la Bassa il Piano prevedeva importanti interventi di bonifica e di irrigazione, tra questi la canalizzazione del torrente Cormor, opera strategica che avrebbe potuto dare lavoro a tanti disoccupati e apportare notevoli miglioramenti alla produzione agricola. Una volta completato, il tracciato del canale avrebbe attraversato il territorio dei comuni di Castions di Strada, Pocenia, Muzzana del Turgnano, Carlino e Marano Lagunare – ma sarebbero stati quindici i comuni che avrebbero potuto giovarsi di quest’opera, in pratica tutta la zona compresa tra i fiumi Tagliamento e Corno. Se il progetto fosse stato portato a termine così come ideato inizialmente, l’opera si sarebbe completata in circa due anni dando lavoro a 1.400 disoccupati, con la conseguente bonifica di oltre 10.000 ettari di terreno.
le assemblee nei paesi
La canalizzazione del Cormôr si presentò subito come la rivendicazione principale per tutti i disoccupati della zona e, sulla spinta organizzativa della Camera del Lavoro di Udine e del Partito Comunista, nella seconda metà di aprile del 1950 vennero organizzate riunioni e assemblee in quasi tutti i paesi della Bassa Friulana. L’attività di organizzazione e di sensibilizzazione sul problema del lavoro e delle bonifiche ottenne una significativa partecipazione popolare e l’adesione di persone di diverso orientamento politico. Questo ciclo di assemblee si concluse il 18 maggio con una grande assemblea tenutasi a San Giorgio di Nogaro alla quale parteciparono, oltre che esponenti del mondo politico e sindacale, anche numerosi sindaci dei comuni interessati e che rappresentò il momento di passaggio dalla fase organizzativa alla fase di lotta.

lo sciopero a rovescio
La mobilitazione prese la forma dello “sciopero al rovescio”: una protesta nella quale i partecipanti lavorano di propria iniziativa e senza retribuzione per sollecitare con forza la realizzazione di un’opera di pubblica utilità. All’alba del 19 maggio 1950 braccianti e disoccupati, organizzati in squadre secondo il comune di provenienza e muniti di badili e carriole, cominciarono i lavori di scavo del canale.
Le mobilitazioni ebbero come epicentro il comune di Muzzana del Turgnano, dove confluirono manifestanti da tutta la Bassa Friulana, arrivavando a centinaia ogni giorno in sella alle loro biciclette e mettendosi al lavoro lungo il greto del Cormôr. Il 24 maggio la partecipazione popolare raggiunse i livelli più alti, con punte di duemila braccianti arrivati non solo dal Friuli ma anche dal vicino Veneto. A San Gervasio (Carlino), poco lontano dal greto del Cormor, fu istituita temporaneamente una mensa in cui venivano cucinati e distribuiti i viveri raccolti in tutti i paesi della Bassa, offerti dalla popolazione a sostegno della lotta.
la repressione
La grandissima partecipazione allo sciopero e alle assemblee, che andava aumentando di giorno in giorno, iniziava ad impensierire le autorità. Il 25 maggio le forze di polizia, comandate dal commissario Gallo, capo del Commissariato di Cervignano, diedero inizio alla repressione violenta della protesta con posti di blocco, inseguimenti, cariche contro i dimostranti e rastrellamenti a Muzzana, Carlino e San Gervasio. I poliziotti malmenarono in modo indiscriminato non solo i manifestanti, ma anche tutti quelli che erano sospettati di appoggiare la lotta. Dopo giorni di repressione i dirigenti della Camera del Lavoro di Udine chiesero al Prefetto e al Questore di porre fine alle violenze. Appello al quale si unì l’onorevole Gino Beltrame del Partito Comunista Italiano, che si recò sul Cormôr a vigilare che non si ripetessero violenze.

la solidarietà
A sostegno delle Lotte si formò presto una rete di solidarietà che coinvolse sindaci, parroci, esercenti e fornai di molti paesi della Bassa, compresi quelli non direttamente interessati dall’opera. Il supporto arrivò anche da intellettuali, artisti e scrittori, che si espressero pubblicamente a favore delle rivendicazioni, talvolta recandosi nei luoghi della lotta. Tra questi il poeta Mario Cerroni, gli scultori Max Piccini e Dino Basaldella ed i pittori Giorgio Celiberti e Giuseppe Zigaina. Quest’ultimo rappresentò in alcune tele divenute poi i celebri braccianti che in sella alle loro biciclette si recavano al canale e le assemblee degli scioperanti durante la mobilitazione.
le donne sul Cormôr
Le donne della Bassa friulana ebbero un ruolo importante nelle Lotte, non solo a supporto di mariti e figli che vi erano coinvolti ma anche attraverso la partecipazione diretta alle mobilitazioni. Il 29 maggio in piazza a Muzzana si ritrovarono in più di quattrocento, giovani e meno giovani, a manifestare a sostegno della lotta cantando in coro canzoni a volte inventate da loro stesse. Dal centro del paese partì un vivace corteo, a cui si aggiunsero anche uomini e bambini. Raggiunto il greto del Cormor, furono proprio le donne a schierarsi lungo l’argine del canale levando grida di protesta contro la polizia che nel frattempo era giunta sul posto. Ne naque un gigantesco tafferuglio che fu placato solo con il lancio di lacrimogeni.

gli esiti delle Lotte
Dopo molti giorni di Lotta i manifestanti ottennero un risultato concreto, grazie anche ad una solidarietà sempre più vigorosa da tutto il Friuli. L’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, in occasione della sua visita ad Udine del 4 giugno ’50, annunciò uno stanziamento di fondi per la canalizzazione del Cormôr (circa 100 milioni di lire) e, dopo una serie di contrattazioni, il 28 giugno vennero assunti i primi mille operai, scelti in ciascuno dei quindici comuni coinvolti nel progetto. La notizia si diffuse subito in tutti i paesi provocando grande entusiasmo e la sera stessa tremila persone si riunirono in piazza a Pocenia a festeggiare la vittoria ottenuta. I lavori sul Cormôr furono avviati ma l’esiguità degli stanziamenti e la mancanza di un piano organico di intervento statale nella bonifica non tardarono a far emergere i primi problemi. Dopo nemmeno un mese i lavori vennero sospesi e gran parte degli operai appena assunti furono licenziati per mancanza di stanziamenti da parte del Governo: il 5 agosto persero il lavoro 800 persone. In seguito i finanziamenti arrivarono a piccole dosi, senza risolvere i gravi problemi di povertà e disoccupazione della Bassa Friulana. Il canale venne completato con l’utilizzo di ruspe ed escavatori e non, come chiedevano i manifestanti, con la sola manodopera per garantire più posti di lavoro possibili. Venne inaugurato il 20 settembre 1955, quando la maggior parte dei braccianti che avevano preso parte a questa lotta aveva intrapreso in modo massiccio la strada dell’emigrazione.